Il senso sinfonico: il tatto e la sua complessità. Di Matteo Cerri

Matteo Cerri, neurofisiologo

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Ogni essere vivente di una minima complessità deve esplorare l’ambiente circostante attraverso i sensi. Ci sono sensi che ci consentono di interagire con l’ambiente a distanza, come la vista, l’udito o l’olfatto. Sono sensi passivi, nel senso che l’ambiente si rivela a noi attraverso di essi indipendentemente dalla nostra volontà. Esiste invece un senso che non può agire a distanza e che spesso è invece legato all’intenzione di esplorare l’ambiente: il tatto.
E’ difficile dire quale sia il senso più importante del nostro corpo, e sicuramente, se ci venisse chiesto di fare una classifica, difficilmente troveremmo il tatto al primo posto, ma questo risultato potrebbe essere il frutto della nostra incompetenza a capire ed apprezzare davvero questo senso meraviglioso. Aristotele però ne aveva invece già capito la complessità e l’importanza, e nel de anima lo descrive come il senso che distingue l’uomo dagli animali.
Per capire l’importanza di questo senso, proviamo ad immaginare di esserne privi. Al contrario della vista e dell’udito, dei quali possiamo simulare transitoriamente la mancanza, è un esercizio molto difficile, quasi impossibile. Il tatto invia infatti costantemente un fiume di informazioni al nostro cervello, anche se noi, di molte, non siamo coscienti. Possiamo fare la non piacevole esperienza di perderlo quando andiamo dal dentista e ci sottoponiamo ad un’anestesia locale. La bizzarra sensazione di formicolio è causata proprio dall’interruzione di quel fiume di informazioni che il nostro cervello è abituato a ricevere; quel formicolio è il suono del silenzio del tatto. Ci sono però molti altri motivi che rendono il tatto un senso straordinario. Intanto faremmo un torto alla sua complessità se lo considerassimo come un solo senso. La nostra esperienza è quella di una sensazione tattile unica e amalgamata, ma in realtà il tatto di per sè non esiste. Esistono invece molti tipi di sensazioni tattili, ciascuna con i suoi recettori specifici e con le sue proprietà. Per esempio, la capacità di discriminare finemente le superfici e i loro margini è la caratteristica dei corpuscoli di Merkel. E’ grazie ad essi che è possibile leggere l’alfabeto Braille. La distribuzione di questi corpuscoli sulla cute ne rende alcune sue parti, come i polpastrelli o le labbra, in grado di leggerlo; le rimanenti porzioni, che invece ne sono prive, sono cieche al Braille, proprio perchè prive dei recettori che servono per vederlo tattilmente.
Questo senso è anche intrinsecamente e inestricabilmente legato alle nostre emozioni. Ogni tocco infatti può evocare nella nostra sfera emotiva sensazioni diverse secondo le aspettative che possiamo avere. Il tatto è infatti il custode ultimo della nostra sicurezza. Se qualcosa ci tocca a nostra insaputa, quel qualcosa potrebbe rappresentare una minaccia ed allora è proprio il tatto a far scattare l’allarme. Se però quel tocco era atteso, magari voluto, come potrebbe essere la carezza di una madre al figlio, ecco che non solo non ci appare minacciosa, ma, anzi, evoca in noi sensazioni piacevoli. Noi viviamo però in una società tattofobica. Così tanto che ci troviamo costretti ad indire una giornata mondiale degli abbracci (il 21 gennaio), come se questo gesto avesse bisogno di una motivazione. Nonostante questo, ne riconosciamo inconsciamente il valore. Per esempio, i medici che toccano di più i pazienti durante la visita sono valutati dai pazienti stessi come medici migliori. Ma oggi toccare qualcuno senza permesso non è in genere buona educazione; anche quando questo permesso ci fosse, come in una coppia di innamorati, le consuetudini sociali modulano questo comportamento in maniera decisa. In media infatti, fra i membri di una coppia si verificano quasi 150 contatti all’ora in Portorico; 110 a Parigi; 2 in Florida e nessuno a Londra. Deve essere il proverbiale self control britannico. C’è però una fase della nostra vita in cui vivere l’esperienza del tocco è molto importante: si tratta dell’infanzia. I bambini che crescono deprivati del contatto genitoriale infatti crescono con indici di stress molto maggiori. D’altra parte il tatto è il primo senso a svilupparsi ed è già attivo all’ottava settimana, quando l’embrione è lungo 1.5 cm. Oltre alle sensazioni tattili propriamente dette, il tatto è anche il dominio della sensibilità per il caldo e della sensibilità per il freddo, di quella dolorifica e, ovviamente, di quella emotiva. Anche queste modalità sensoriali hanno accesso alle nostre emozioni e condizionano i nostri comportamenti anche se noi ne siamo inconsapevoli. Basta infatti avere fra le mani una tazza di the caldo, per essere più ben disposti nei confronti degli altri. L’idea di caldo infatti avvolge gran parte del nostro codice emotivo, in quanto è l’emozione del calore umano o del calore di un abbraccio a fondere questa modalità sensoriale con l’emozione stessa del contatto. D’altra parte non definiamo forse una persona educata e sensibile “una persona di tatto”? In conclusione il tatto altro non è che un senso sinfonico, che genera una melodia emotiva utilizzando una varietà di strumenti sensoriali a sua disposizione; come un’orchestra in cui i singoli e molteplici strumenti colorino la realtà con cui entriamo in contatto. E mai termine fu più appropriato di quest’ultimo.