La Gioconda di Leonardo: un sorriso non più ambiguo. Di Aldo Grassini

Aldo Grassini, presidente Museo Tattile Statale Omero

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Un bel dipinto è una festa per gli occhi. I colori. la luce, le ombre sono il fondamento sensibile di un piacere estetico che coinvolge la mente e la sfera delle emozioni e dei sentimenti. Ma chi non vede potrà mai raccogliere almeno qualche briciola di quel sontuoso banchetto dello spirito che è la gioia di poter ammirare i più grandi capolavori della pittura?
Molti appassionati cultori di quest’arte non sanno darsi pace di fronte all’impossibilità di condividere anche coi non vedenti l’affascinante emozione dell’esperienza cromatica. E affaticano la mente nella ricerca di vie alternative, che possano trasmettere a chi non vede, almeno il concetto del colore, e di qualche altra sensazione capace di evocare l’immagine della luce e dell’ombra. Impegno destinato a naufragare contro lo scoglio dell’incomunicabilità tra i sensi.
Se parliamo di persone che hanno perduto la vista dopo un periodo lungo o breve durante il quale i loro occhi hanno assolto, magari parzialmente, la loro funzione, è possibile suscitare in loro il recupero del ricordo, richiamare dal sottosuolo della memoria o, a seconda dei casi, dal chiaro orizzonte di sensazioni limpidamente presenti nella coscienza, i concetti di luce e di colore un tempo familiari, attraverso una buona descrizione legata ad esperienze concretamente vissute.
Ma se parliamo di persone affette da cecità assoluta e congenita, il problema non ha soluzione.
I sensi sono incomunicabili in quanto ciascuno possiede una sua specificità in nessun modo riducibile a quella degli altri sensi. Un colore è un colore, un suono è un suono e possono esser descritti soltanto con riferimenti rispettivamente a colori e a suoni.
Il mistero della sinestesia tra due sensi (p. es., la vista e l’udito) non vale per chi è privo di uno dei due. Se io definisco “chiaro” il timbro dell’oboe, intendo dire che quel suono produce in me una reazione emotiva analoga a quella prodotta da un colore chiaro. Ma chi non sa che cosa significhi “chiaro” perchè non ne ha mai avuto esperienza, potrà forse capire l’effetto emotivo (comunque sempre soggettivo) di quella sensazione cromatica, ma non potrà mai avere il concetto della “chiarezza” in senso visivo se gli manca l’esperienza del vedere. Insomma, egli non riuscirà a rappresentarsi mentalmente quella sensazione che non gli appartiene. Il vedente fa un confronto fra due sensazioni, ma il cieco non lo può fare mancandogli uno dei due termini del confronto.
Molti sono stati i tentativi, sul terreno scientifico e tecnologico, di produrre con appositi apparati, l’associazione di superfici variamente colorate ad effetti sonori, termici o anche tattili, ma nessuno ha raggiunto risultati concreti.

Un discorso diverso concerne la forma. I sensi dell’udito e dell’olfatto sono totalmente inefficaci per la definizione della forma; la sensazione termica, pur appartenendo ad una peculiarità tattile, non è di grande aiuto. I sensi della forma sono la vista e il tatto.
La riproduzione di una forma visiva può dunque trovare adeguato riscontro soltanto in una rappresentazione tattile.
A questo punto diventa ineludibile il quesito se nella pittura l’elemento cromatico sia così essenziale da farne una condizione irrinunciabile ai fini di un’autentica fruizione estetica oppure possa esser surrogato dalla percezione della forma, che in ogni caso rappresenta una componente fondamentale.
La forma, invece, è l’elemento cardine della fruizione di una scultura. Attenzione! Io parlo di forma, non di figura, e questo discorso è valido anche se si tratta di una rappresentazione astratta.
La scultura è corporeità e soltanto la forma può esprimerla. Da ciò consegue che, se la fruizione della pittura richiede necessariamente l’uso della vista – e possiamo affermare che si tratta di un’arte essenzialmente visiva, – quanto alla scultura si può riconoscere a buon diritto che parliamo di un’arte al tempo stesso visiva e tattile.
Logica conseguenza: i ciechi attraverso il tatto possono conseguire una piena fruizione della scultura, ma dobbiamo esser consapevoli che l’approccio tattile è comunque diverso da quello visivo. La vista ci consente di acquisire subito un’immagine globale dell’oggetto; Il tatto invece procede per analisi e richiede un processo esplorativo prima di giungere all’acquisizione dell’immagine. Nel contatto con l’oggetto i polpastrelli delle dita percepiscono porzioni minime di superficie e nell’esplorazione tattile è necessario mettere insieme le singole percezioni come fossero le tessere di un mosaico che si costruisce un po’ alla volta.
L’immagine tattile è una costruzione mentale che il cieco contempla e le dà significato.
Oggetto dell’approccio visivo è l’immagine percepita con gli occhi nella sua fisicità; oggetto dell’approccio tattile è un’immagine mentale che deriva dal contatto fisico del toccare. In entrambi i casi può esserci il piacere della sensazione (visiva o tattile che sia); in entrambi i casi il piacere estetico è frutto di un’elaborazione intellettuale dell’immagine (visiva o mentale che sia).
Mi preme sottolineare che l’approccio tattile è possibile anche per chi vede, anzi rappresenta per quest’ultimo una via nuova dell’accesso all’arte che apre orizzonti inesplorati all’esperienza estetica.

E allora, che cosa può trovare un cieco in un dipinto? La forma e i contenuti che, pur pesando meno dei colori e della luce, costituiscono comunque componenti importanti dell’espressione pittorica.
In un quadro c’è sempre un gioco di forme, sia che si tratti di figure o che si tratti di rappresentazioni astratte. Esse hanno un volume, propongono una propria struttura dimensionale e si relazionano in modo più o meno dinamico.
Una buona spiegazione è importante, ma non basta. Uno schema generico, pur se tracciato con mezzi di fortuna, è ancor più utile; ma siamo ancora lontani dalla possibilità di una fruizione degna di questo nome. Un aiuto più sostanzioso può offrirlo un disegno in rilievo, ma la soluzione più efficace è la traduzione in bassorilievo o addirittura a tutto tondo.

Un bassorilievo ben fatto permette non solo di definire i rapporti volumetrici tra le varie parti e le varie forme, ma anche di individuare gli oggetti rappresentati e pertanto offrire un contributo determinante all’accesso ai contenuti.
In ogni caso, il bassorilievo è lo strumento più utile per avvicinare un cieco quantomeno alla conoscenza di un’opera pittorica.
Dobbiamo ammettere con rammarico che la pittura non è fatta per i ciechi. Il colore, la luce e l’ombra sono troppo importanti ai fini della fruizione estetica di un dipinto perchè se ne possa fare a meno. E purtroppo un cieco assoluto dalla nascita non può averne nessuna rappresentazione concreta. I colori per lui sono soltanto nomi. Un cieco che abbia ricordi della visione può almeno rappresentarseli, aiutato dalla memoria.
Diverso è il rapporto con la scultura. In questo caso la forma e i contenuti, perfettamente percepibili attraverso l’esplorazione tattile, offrono pienezza di risultato alla fruizione estetica.
Ma forma e contenuti, seppur in via subordinata, sono anch’essi elementi importanti nell’arte pittorica, ed anche i ciechi possono appropriarsene almeno sul piano cognitivo, ma anche, in certa misura, emozionale, se si mettono a loro disposizione strumenti adeguati. Una efficace descrizione è sempre utilissima, ma il mezzo più adeguato è un buon bassorilievo che, tuttavia, appartiene ad un altro linguaggio artistico, non quello della pittura, ma quello della scultura. La forma e il contenuto del dipinto possono essere pienamente colti nella traduzione del bassorilievo; tuttavia, l’elemento sensoriale è quello del tatto, come nella scultura.
Mi si può chiedere se vale la pena percorrere una via così contorta. Vorrei rispondere, se mi è consentito, con un ricordo autobiografico: la mia grande emozione allorché per la prima volta ho potuto “vedere” in un bassorilievo l’immagine della Gioconda. Quante volte ne avevo letto o sentito magnificare l’enigmatico sorriso! Ma non la conoscevo! Grazie a quel bassorilievo ormai posso anch’io rappresentarmi un’immagine concreta quando penso al capolavoro leonardesco senza dovermi più arrampicare sugli specchi della fantasia!