Anche i ciechi hanno uno sguardo. I corsi di storia dell’arte al Collegio Buffon: la pittura come fattore inclusivo. Di Gabrielle Sauvillers

Gabrielle Sauvillers, coordinatrice Unità Locale Inclusione Scolastica (ULIS), Collège Buffon, Parigi

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Professoressa di lettere moderne e coordinatrice di una Unità localizzata per l’inclusione scolastica (ULIS) per allievi ciechi e ipovedenti, sono da sempre amante delle arti, e ho cercato per anni come trasmettere ai miei amici ciechi le emozioni estetiche legate alla pittura. La mia funzione è di rendere il più naturale e semplice possibile il percorso scolastico di 12 allievi disabili visivi in inclusione in 8 classi ordinarie diverse di una scuola media, il collège Buffon di Parigi.
Da quando ho cominciato a dedicare il mio insegnamento ai ragazzi non vedenti, è diventata una priorità trovare un modo di impegnarli nei corsi di storia dell’arte fino ad ora vissuti come grandi momenti di esclusione, e dunque di sofferenza.
Aldilà dell’obiettivo pedagogico, ho deciso di fare della trasmissione delle emozioni estetiche visive un fattore valorizzante della loro integrazione, tramite momenti di vera condivisione tra tutti gli allievi. I nostri diversi progetti sono diventati l’occasione di arricchire reciprocamente gli sguardi e la percezione di ciascuno.

Considero primaria la necessità di concepire le mie interpretazioni tattili delle opere visive con una grande varietà di tecniche. Cerco sempre di non spogliarle della loro ricchezza, e nel loro approccio, cerco di abolire la tendenza naturale che i vedenti possono avere ad imporre ai ciechi la loro visione dell’immagine, in un modo purtroppo spesso unilaterale.
Siccome i miei allievi frequentano ogni giorno una ventina di ragazzi vedenti, propongo a tutti quanti esperienze multisensoriali che parlano alla loro sensibilità, attraverso esperienze particolari: teatro-immagine, scoperta ad occhi bendati di interpretazioni tattili di quadri, visite di musei accessibili, viaggi in città che offrono musei tattili, come Atene ed Ancona, dove siamo già stati la scorsa estate.
Le osservazioni e ricerche teoriche che mi hanno portata a concepire interpretazioni tattili partono dalla convinzione che i disegni a rilievo, benché utili per spiegare la composizione e la struttura di un’immagine, non possono soddisfare la dimensione estetica ed emotiva intrinseca all’arte. Non dobbiamo neanche perdere di vista il fatto che la percezione sequenziale dei ciechi non può soddisfarsi con una rappresentazione bidimensionale, indipendentemente dal virtuosismo ed utilità della trascrizione-traduzione.
Perciò, cerco per ogni opera visiva studiata un mediatore che renda la persona non vedente partecipe dell’esplorazione artistica.
A seconda degli obiettivi pedagogici fissati con gli altri insegnanti, e a seconda di quello che ci sembra importante sottolineare nel quadro studiato, cerco di essere fedele a ciò che esprime l’opera. Oltre la scelta minuziosa dei diversi materiali che mi sembrano rendere l’idea o la sensazione provocata dai colori o dai contrasti, ma anche dai soggetti rappresentati, ricerco il tipo di interpretazione che mi sembra più adeguata. Per “La Liberté guidant le peuple” (La Libertà che guida il Popolo) di Delacroix o per “Guernica” di Picasso, ho isolato diversi motivi o piani su diverse schede che permettono di scomporre e ricomporre l’opera. Per “The Problem we all live with” (Il problema che tutti viviamo con) di Rockwell o per “Le Petit déjeuner” (La colazione) di Juan Gris, ho ricreato l’argomento rappresentato in 3D. Per “La Desserte, Harmonie rouge” (La stanza rossa) di Henry Matisse ho mescolato 2D e 3D insistendo sulle impressioni suggerite dai colori primari e complementari, ma anche dalla debolezza o dall’ingenuità dei motivi. Per “Il Viaggiatore in un mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, ho cercato come rendere la profondità del paesaggio infinito, ma anche la rugosità della roccia sfumata in lontananza… Tanti esempi, che presento sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/interpretationstactiles/ per insistere sulla necessità di produrre emozioni tattili per tradurre quelle visive, sono un modo di dare ai ciechi argomenti per parlare dell’opera senza il rischio del verbalismo, condividendo impressioni profonde che nutrono senz’altro la propria analisi.
Se uso la parola « interpretazione » e non « traduzione », come Aldo Grassini la usa (in Per un estetica della tattilità, p.21) a proposito dei bassorilievi realizzati per rendere la pittura tattile, è perché non nego che le mie scelte siano in gran parte soggettive e individuate tra un’infinità di soluzioni possibili. Mi piace parlarne e spiegarne le motivazioni, ma soprattutto ascolto con attenzione i dubbi ma anche i suggerimenti che mi vengono rivolti. Dallo scambio che coinvolge tutta la classe, anche insieme agli allievi vedenti che devono spiegare le loro osservazioni visive per farsi capire, imparo in ogni situazione di scambio a migliorare e a ampliare la mia percezione dell’arte. Non smetterò mai di meravigliarmi della certezza che i ciechi, quando sappiano creare il contesto giusto di condivisione estetica, diventano quello che Dutry et De Patoul chiamano “passeurs du visible” (traghettatori del visibile) (in “La Peinture dans le noir” – La pittura nel nero, p.67). E’ certamente un insegnamento prezioso trasmettere ai vedenti la convinzione che anche i ciechi hanno uno sguardo: basta farli entrare nel mondo della tattilità!