Copiare l’arte non è peccato. Di Aldo Grassini

Aldo Grassini, presidente del Museo Omero

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Che cos’è una copia? Domanda insidiosa!
Una copia può esser la falsificazione di un’identità, ai limiti del codice penale. Ma può essere anche uno strumento di diffusione di un oggetto interessante, e quindi un veicolo di democrazia.
Una donna si guarda allo specchio: lì vede una copia del suo sembiante e su di essa fonda con grande fiducia la valutazione del proprio aspetto.
In fondo anche una bella fotografia è una copia di qualcosa, ma può acquistare dignità artistica.
Quando andavamo a scuola dovevamo presentare i nostri compiti in bella copia se volevamo che fossero valutati positivamente, ma attenti a non copiare il compito altrui! Adesso le amministrazioni ci chiedono sempre copia dei nostri documenti, cartacea o digitale che sia.
Come si vede, la parola “copia” può assumere accezioni diverse e in generale non negative. Ma se parliamo d’arte, allora: pollice verso! Per la copia non c’è pietà!

Perché mai oggi c’è tanta ostilità in campo artistico nei confronti della copia? Una cosa bella cessa di essere bella solo perché non si tratta di un’opera originale? E come la mettiamo con certi falsi d’autore che, ritenuti per lungo tempo originali, hanno riscosso rispetto e ammirazione per diventare, una volta smascherati, poco più che spazzatura?
Molti corrono a visitare mostre che, tutto sommato, propongono opere piuttosto bruttine, ma nessuno muoverebbe un passo per andare a vedere una raccolta di copie dei più grandi capolavori! Meglio un originale brutto che una copia bella! Forse la copia sconta ancor oggi l’ostracismo che le ha riservato l’Antichità. Allora “copia” significava “imperfezione”. Platone squalifica l’arte in quanto copia di una copia e pertanto due volte imperfetta. Ma già i Presocratici avevano accreditato il valore dell’Uno contro il molteplice e dell’Essere contro il divenire. Per Parmenide di Elea, l’Uno è l’Essere unico e immutabile; se l’Essere è uno, ciò che è diverso dall’Uno non è, quindi non può aver alcun valore. Non c’è dunque posto per il molteplice nella sfera del valore. E in fondo il dinamismo di Eraclito e, dopo di lui, della Scuola Stoica (“Panta rei”, tutto scorre) è più apparente che reale se “l’eterno ritorno” rinchiude tutto il divenire in una ripetizione ciclica sempre uguale, per la quale il passato e il futuro coincidono e non ci può esser mai nulla di nuovo sotto il sole. E la copia è l’espressione di una molteplicità priva di essere e di valore.
Forse è un po’ azzardato pensare che, dopo 25 secoli, concetti così astratti e sfuggenti possano ancora influire sul nostro modo di considerare la realtà. Ma non dimentichiamo che l’intransigente battaglia contro la copia nell’arte è storia abbastanza recente e nasce in ambienti colti e certamente vincolati a radici lontane.
Oggi a militare contro la copia non è più l’ostracismo per la molteplicità (e sarebbe difficile in regime di democrazia!); oggi è il mito romantico dell’originalità che non ammette la replica né come ripetizione né come raddoppiamento. Così, la copia è vista come un attentato all’originalità e viene rifiutata per il movente ispiratore più che per il risultato oggettivo.

Ma perché non possiamo considerare la copia come una sorta di figlio secondogenito di una nobile famiglia? In questo ambiente tutti i diritti andavano al primogenito, ma anche i cadetti conservavano i loro quarti di nobiltà. Fuor di metafora, è evidente che dovendo scegliere tra un originale ed una copia, nessuno rinuncerebbe al primo per la seconda. Tuttavia cerchiamo di guardare senza pregiudizi a ciò che di buono può offrire anche una buona copia.
Le qualità che normalmente sono apprezzate in un’opera d’arte sono fondamentalmente legate: alla forma, al significato, al materiale, alla storia, alla vetustà e, ovviamente, all’originalità. Ma alcuni di questi elementi sono valutabili anche in una copia perfetta.
Ciò che dà sostanza all’esperienza estetica è fondamentalmente il piacere della scoperta: riuscire a riconoscere soggettivamente una connessione che può anche sfuggire ad un’indagine oggettiva. Anzi, distinguiamo l’atteggiamento conoscitivo, proprio dello storico o del filologo, – che si propone di studiare l’oggetto in modo scientifico prescindendo da qualsiasi coinvolgimento emotivo del soggetto, – e l’atteggiamento estetico che si muove con un approccio puramente soggettivo e s’avvale, sì, anche delle conoscenze offerte dall’indagine scientifica, ma per il piacere di scoprire connessioni segrete, capaci di arricchire la sfera personale delle emozioni.
Ma scoprire la bellezza di una forma, dell’armonia delle sue componenti o dell’effetto che può produrre una disarmonia ben calibrata, è possibile anche in una copia perfetta. Ciò che ci piace e ci interessa, in questo caso, è la forma, non l’oggetto che la propone.

Un altro fattore di valutazione estetica è la scoperta del significato: un oggetto immerso nella nebbia dell’estraneità, diventa “nostro” allorché ne scopriamo / attribuiamo il significato. Questo atto di comprensione, puramente soggettiva nella fruizione estetica, lo illumina e lo riscalda, lo trasforma in carne della nostra carne. Se poi questa scoperta si riferisce non ad un significato personalmente individuato, ma appartenente ad un soggetto collettivo, può addirittura assumere dimensione e valore simbolici con effetto emotivo di grande pregnanza. Ma questo stimolo all’elaborazione intellettuale può essere offerto da una copia come dall’originale. Ed ecco un secondo elemento che può nobilitare una copia ben fatta.
Il materiale, invece, può determinare uno iato tra l’importanza dell’originale e quella di una replica. Il materiale influisce in modo determinante sulla percezione sensoriale che rappresenta il primo momento dell’approccio con l’opera d’arte e un elemento strutturale della fruizione estetica. Raramente una copia è riprodotta con un materiale identico all’originale e, quando ciò accade, è quasi impossibile che essa possa riprodurre tutte le variazioni e le imperfezioni del modello. Uno studio sulla tecnica della lavorazione e sulle conseguenze stilistiche può esser condotto soltanto sull’originale. Questo fatto fa perdere parecchi punti alla copia nel confronto con l’originale. Abbiamo detto che l’approccio scientifico e quello estetico si muovono su piani diversi, ma è evidente che una conoscenza più vasta ed articolata diventa oggetto di un’elaborazione intellettuale di tipo estetico più ricca e profonda.
Quanto alle suggestioni emotive prodotte dalla storia e dalla vetustà dell’oggetto è evidente che in questo caso non può esserci gara tra l’originale e la copia. Anche la copia può avere una sua storia, ma si tratta di altra cosa. La vetustà esercita una suggestione emotiva fortissima. Le copie romane dell’arte greca ricevono dalla loro vetustà il valore di un originale, come se i due millenni della loro età restituissero loro una verginità, che non viene mai riconosciuta ad una copia. E noi guardiamo quelle sculture con l’ammirazione e la reverenza che attribuiamo ai capolavori dell’arte greca, dimenticando che sono uscite dalle mani di qualche oscuro artigiano romano!
Ma se si tratta di una copia recente non abbiamo lo stesso atteggiamento, forse perché nel primo caso l’originale è perduto e la copia romana ci appare come la reincarnazione di un capolavoro che non esiste più.

Riepilogando si può affermare che una copia perfetta produce lo stesso effetto estetico dell’originale riguardo alla forma e al significato, può farlo solo in parte e in casi particolarissimi rispetto al materiale, diventa un simulacro sbiadito e privo di fascino rispetto alla storia e alla vetustà dell’originale. Non è competitiva per l’interesse dello studioso che, peraltro, non si muove sul terreno propriamente estetico. Ma è evidente che molte frecce rimangono nell’arco di una copia ben fatta e non si capisce perché essa debba perdere qualsiasi attrattiva per un pubblico fatto di fruitori che sono lontani le mille miglia dall’avere le competenze ed il rigore di uno studioso. 
Infine, la copia recupera molti punti se la consideriamo come strumento didattico. Non ha bisogno di tutte le attenzioni e le cautele richieste da un originale; è facilmente raggiungibile senza bisogno che si debba viaggiare attraverso il mondo per poter essere conosciuta ed ammirata; può entrare nelle attività dei laboratori didattici sia canonici che anticonformisti; può non presentare problemi quanto all’accessibilità, che sta diventando sempre più una dimensione dell’eccellenza di un museo.
Ormai fa scuola, a questo proposito, l’esperienza del Museo Tattile Statale Omero dove tutto (sculture originali e copie) può esser fruito anche attraverso l’esplorazione tattile. Questa possibilità abbatte una barriera insuperabile per chi non vede e costituisce una modalità di fruizione assolutamente nuova per chi può aggiungere all’emozione del vedere anche quella del toccare. Qui i più grandi capolavori non sono solo guardati da lontano, magari attraverso una barriera di cristallo, ma possono essere avvicinati, guardati e accarezzati in tutte le loro parti, comprese quelle che spesso la collocazione rende non visibili negli originali.

Credo che l’Italia sia oltremodo intransigente nel rifiuto della copia. Alcuni anni or sono mi è capitato di andare a visitare in Francia le Grotte di Lascaux, uno dei siti più famosi per i graffiti preistorici. Qui ogni anno giungono visitatori da tutto il mondo in numero a sette cifre. Ebbene, per la necessità di proteggere i disegni rupestri dal turbamento dell’ecoclima prodotto dall’eccesso delle presenze umane, sono state chiuse al pubblico le grotte originali e sono state create per i visitatori alcune stanze con perfette riproduzioni dei disegni.
Sono convinto che molti italiani, considerato il loro atteggiamento di totale disistima nei confronti della copia, se lo sapessero in anticipo, annullerebbero immediatamente la prenotazione e cambierebbero la destinazione del viaggio, magari preferendo qualche villaggio turistico del Mediterraneo! Meglio una tintarella autentica che una Lescaux riprodotta!