Toccare la bellezza, tra didattica e vita. Di Alessandra Delli Poggi

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In una mostra si è soliti guardare e, senza dubbio, in un contesto del genere, chi ha un ruolo da protagonista sono gli occhi. Del resto cosa aspettarsi da una mostra d’arte se non il predominio visivo dell’occhio? Ma, a volte, gli scenari cambiano e i ruoli si invertono.
Questo succede ad Ancona, all’interno della Mole Vanvitelliana della città, sede del museo tattile Omero, una realtà unica, e speciale, nel territorio italiano. Con la mostra Toccare la bellezza, entra in campo il tatto, come nuovo organo di senso dell’esperienza. Grazie alla riscoperta del tatto, spesso dimenticato, si giunge a percepire in modo totalmente differente, attraverso stimoli sensoriali e neuronali completamente nuovi rispetto al canonico processo della vista.
La mostra è ambiziosa, i fini rivoluzionari. Fin dal titolo viene chiamata in causa la bellezza. Quale ambizione mettere in campo una categoria così antica e discussa come il bello, che, come tutti sappiamo, ad ogni epoca, e ad ogni gusto, cambia camaleonticamente. Eppure la categoria estetica del bello, e della sua personificazione Bellezza, qui trovano casa, senza dubbio. Bello è creare un progetto capace di inclusività, abile nell’accendere un interesse nuovo e nel produrre un confronto reale, basato sul dialogo e la curiosità di scoprire. Bello è far riflettere su tematiche cui la maggior parte del pubblico non entra solitamente in contatto, perché facenti parti di una certa diversità. Una diversità che può arricchire con grande intelligenza.
Toccare la bellezza gioca su una coppia di personaggi e sull’importanza che entrambi danno al senso del tatto. Da una parte Bruno Munari, genio poliedrico e leonardesco del Novecento, e dall’altra Maria Montessori, figura fondamentale della storia culturale italiana.
Tutti sappiamo disegnare un sole o un albero, ma chi ce lo ha insegnato davvero, con il giusto valore da dare alla creatività, è Bruno Munari; chi ci ha insegnato ad apprendere dai tentativi e dagli errori è Maria Montessori. Chi ha affermato per primo l’utilità dell’insegnare giocando, con ordine e metodo, è questa donna che si è battuta, scientificamente e umanamente, per i diritti dell’infanzia e per le metodologie dell’apprendimento. Chi ha continuato a giocare e far giocare, anche da adulto, anche gli adulti, con i bambini, è ancora Bruno Munari, che tra un progetto, un testo e un’analisi critica, ha compreso semplicemente, con la semplicità e l’elasticità di una mente curiosa, le necessità umane cui sottostanno i principi di arte, creatività, sviluppo.
Ma attenzione, qui non sono Maria Montessori e Bruno Munari a farla da protagonisti, quanto i loro metodi. Non su Montessori e Munari, ma con loro. Ed è una perfetta congiunzione pratica e concettuale proporre una mostra sulle metodologie, sui tramiti, sugli attraverso, rispetto al tema principale, il tatto appunto.
«I bambini scoprono troppo presto che il mondo è pieno di cose da non toccare», afferma Arnheim. Questa piccola grande verità l’abbiamo appresa tutti nel corso della nostra esistenza. Alla mostra Toccare la bellezza non ci sono divieti di questo tipo. Si può e si deve toccare. I processi cognitivi hanno il loro fondamento nelle connessioni del nostro cervello, più attive se nate da un processo di scoperta e curiosità appunto. Quando interagiamo attivamente con l’ambiente e svolgiamo azioni, si compie un esercizio sulla plasticità del sistema nervoso. L’educazione e l’apprendimento avvengono attraverso la capacità di tessere relazioni con gli oggetti, e con le persone, tramite il gioco, i tentativi, la meraviglia e lo stupore.
Maria Montessori e Bruno Munari ci accompagnano in questo luogo, in questa scoperta, lo fanno attraverso il tatto, la partecipazione e il metodo, non dimenticando la sfera del gioco. E il tutto funziona, non solo per i bambini, ma anche per gli adulti, che, più timidi, ma non con minore passione, si adoperano a sperimentare e si avventurano nel buio di una stanza da scoprire. Il Museo Omero insegna che la diversità non limita, ma apre a nuovi metodi di conoscenza, a nuovi percorsi: una via tattile è tracciata ed è ben segnata. Parte dal principio del conoscere ovvero dell’avvicinarsi, del toccare, del prendere in mano un oggetto e sperimentare con esso, dell’agire con l’ambiente e nell’ambiente. La conoscenza parte e passa dall’esperienza. E ad ogni situazione che aggiungiamo ci modifichiamo, in un processo dove tutto è connesso. E’ uno sviluppo che dalla sfera dell’esperienza passa a quella dell’interiorità.
Bruno Munari e Maria Montessori lo avevano capito bene. Forse quell’essere sperimentatori, prevalente negli occhi e nelle mani dei bambini, non è mai scomparso in loro, ed è giunto così a noi.
Così come il loro insegnamento serve ancora e soprattutto oggi, si potrebbe affermare che mostre del genere servono ancora e soprattutto oggi.
Tra didattica e vita possiamo ancora sperimentare la bellezza, e toccarla con mano.