Un museo può dirsi contemporaneo quando si apre alla neurodiversità. Arte e autismi. Di Cristina Bucci

Cristina Bucci, storica dell’arte – L’immaginario associazione culturale

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I musei del XXI secolo tendono sempre più a riflettere il rapido cambiamento della società in cui viviamo e ad assumersi responsabilità nei confronti della comunità; sono sollecitati ad aprirsi a nuove forme di partecipazione, ad ambiti, tematiche e pubblici (dalla disabilità alle migrazioni) che in precedenza non li riguardavano e restavano, in ogni senso, fuori dalla soglia.
Un museo che voglia essere contemporaneo, indipendentemente dalla tipologia delle collezioni che conserva, e che voglia giocare un ruolo significativo anche dal punto di vista sociale, non può fare a meno di prendere in considerazione l’opportunità di rendersi accessibile alla neurodiversità.
In base a una rilevazione del 2014 si stima che negli USA i bambini di 8 anni con diagnosi di autismo siano 1 su 59, mentre, secondo l’Osservatorio Nazionale Autismo dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia il rapporto è di 1 su 77. Si tratta dunque di numeri importanti, in continua crescita, che hanno un forte impatto sociale.
L’autismo è una condizione di neurodiversità che si manifesta nei primi anni di vita, ha base biologica e consiste in un funzionamento atipico del cervello. Generalmente si parla di autismo al singolare, ma sarebbe più corretto parlare di ‘autismi’, oppure di spettro autistico, poiché, come i colori dell’arcobaleno, le sfumature con cui l’autismo si presenta sono infinite e variano da persona a persona. Si va da persone con un elevato quoziente intellettivo e con spiccati talenti, spesso nel campo della matematica, dell’informatica e delle scienze, a persone che comprendono poco il linguaggio e hanno un importante ritardo intellettivo. Ciò che li accomuna è un funzionamento atipico del cervello che può determinare difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale, comportamenti particolari, spesso stereotipati e ripetitivi, risposte peculiari a stimoli sensoriali.
Che cosa può fare il museo per le persone autistiche?
Come per tutti gli altri visitatori, può proporre attività piacevoli per il tempo libero e occasioni di socializzazione, offrire opportunità per conoscere persone, spazi e territori, dare la possibilità di esprimersi e di conoscere se stessi a partire dall’interpretazione che ciascuno dà delle opere d’arte o degli oggetti della collezione. Inoltre il museo può valorizzare le potenzialità delle persone autistiche poiché è uno spazio di apprendimento informale, in cui la conoscenza si acquisisce attraverso la visione e il contatto con gli oggetti esposti. È dunque un luogo molto favorevole per una comunicazione visiva, vicina alle persone autistiche che manifestano in genere un’abilità maggiore nell’elaborare stimoli visivi rispetto a quelli verbali e linguistici.
In aggiunta a tutto questo il museo può contribuire a modificare la percezione dell’autismo e a ridurre lo stigma sociale, promuovendo una visione positiva della neurodiversità: come dice il giornalista americano Sielberman “essere autistici è semplicemente un modo diverso di essere umani”.
A questo punto può essere utile ribaltare il punto di vista e provare a capire che cosa le persone con autismo possono fare per il museo: costringono a riportare l’attenzione sui visitatori, che devono essere considerati nella loro individualità e non come parte di un gruppo; invitano a rimuovere le barriere, soprattutto quelle sensoriali e cognitive; portano ad aprirsi a nuove collaborazioni con educatori e centri specializzati, con associazioni di familiari presenti sul territorio e con la rete dei servizi; offrono l’opportunità di ripensare in chiave multisensoriale le strategie educative che troppo spesso sono basate sulla comunicazione verbale. Rendere i musei accessibili alle persone con autismo fa bene in primo luogo ai musei.
Tra tante tipologie, le raccolte d’arte offrono delle possibilità molto interessanti poiché il linguaggio dell’arte, icastico, emozionale, spesso non verbale, è particolarmente vicino al “pensiero visivo” delle persone autistiche e può offrire un valido canale di comunicazione, uno strumento per superare le difficoltà di relazione.
L’arte come forma di espressione e comunicazione è il tema centrale della mostra itinerante “L’arte risveglia l’anima”, da me curata, che, partita nel 2017 da Firenze, dal 26 gennaio al 23 febbraio 2019 è stata ospite del Museo Omero di Ancona.
La mostra presenta le opere di 24 artisti autistici e ha attraversato l’Italia con tappe anche a Roma, Pistoia, Brescia, Milano e Torino. Nata da un’idea del direttore dell’Ermitage Michail Piotrovski e di Francesco Bigazzi, presidente dell’associazione Amici del Museo Ermitage Italia, la mostra ha visto la collaborazione di tre associazioni: Autismo Firenze, Amici del Museo Ermitage Italia e L’immaginario associazione culturale. Le opere, raccolte grazie a un intenso lavoro di contatti e relazioni intessuto da Anna Maria Kozarzewska, coordinatrice del progetto e vice presidente di Autismo Firenze, con professionisti, associazioni e famiglie di varie parti d’Italia, esprimono i talenti degli artisti coinvolti e l’esposizione valorizza la loro creatività.
La mostra è stata l’occasione per mettere a punto un modello di approccio all’arte adatto alle persone con autismo e per disseminarlo attraverso il corso di formazione “Musei Arte Autismi”, frutto di un intenso lavoro di squadra che ha coinvolto principalmente Anna Maria Kozarzewska, Marilena Zacchini, educatrice specializzata nell’autismo e me. Il corso, rivolto a educatori museali ed educatori dedicati all’autismo è stato replicato, con alcune varianti, a Milano (Gallerie d’Italia), Firenze (Gallerie degli Uffizi e Palazzo Strozzi), Ancona (Museo Omero), Torino (Fondazione Paideia e Sala Espositiva della Regione Piemonte, sede della mostra), coinvolgendo ogni volta le realtà che l’hanno ospitato.
In questo modello l’opera d’arte è considerata un “dispositivo relazionale”, per usare la definizione del critico d’arte Nicolas Bourriaud, “una macchina per provocare e gestire incontri individuali o collettivi”. L’incontro con l’arte si configura come un’attività di piccolo gruppo, quanto possibile omogeneo per età e per le caratteristiche dei partecipanti, ed è facilitata da un educatore museale, che conduce la visita, e un educatore specializzato nell’autismo che agevola il lavoro del conduttore, intervenendo in modo discreto nel caso in cui qualcuno dei partecipanti si trovi in difficoltà, o qualcuno degli accompagnatori abbia bisogno di sostegno. La progettazione dell’attività implica un intenso lavoro di squadra che coinvolge gli educatori dei due settori e per quanto possibile anche i genitori, gli educatori e talvolta i ragazzi stessi; punto di partenza è la condivisione degli obiettivi che devono essere funzionali ai partecipanti, ma anche adeguati all’ambiente museale, con le sue fragilità e potenzialità.
Che l’attività si svolga davanti ai quadri della mostra “L’arte risveglia l’anima”, oppure in un Museo, di fronte ai grandi capolavori del passato o della contemporaneità, l’interpretazione che elaboriamo dell’opera, in dialogo con tutti i partecipanti, ci offre l’opportunità di conoscere in primo luogo noi stessi. Per entrare in contatto con l’opera usiamo le parole, il corpo, attività pratiche correlate con quanto vediamo, semplici strumenti che aiutano a tenere viva l’attenzione.
Ogni contributo, una parola, un gesto, una piccola composizione, viene valorizzato.
Nelle esperienze condotte nell’ambito del progetto da Marilena Zacchini e me, in giro per l’Italia, i ragazzi hanno spesso stupito i loro accompagnatori per la partecipazione e le capacità che hanno rivelato e il museo si è dimostrato ancora una volta un luogo con straordinarie potenzialità di inclusione culturale e sociale.
In Italia non sono molti i musei che propongono attività dedicate alle persone con autismo, tuttavia le quattro edizioni del corso Musei Arte Autismi, a cui hanno partecipato più di 120 educatori e circa 40 musei, stanno portando buoni frutti e nuovi progetti hanno preso avvio in diverse città d’Italia, da Milano a Roma, da Firenze a Siena e altre città della Toscana. La scommessa ora è quella di restare in contatto per creare una rete nazionale dei musei amichevoli nei confronti dell’autismo.