II Museo, dove l’opera ha luogo. Di Fabio Fornasari

Fabio Fornasai, ideatore e direttore Museo Tolomeo

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Raccontare una storia
Chi scrive per venti anni ha intrecciato una doppia ricerca professionale e scientifica: da un lato all’interno della professione di architetto museologo, progettando esperienze museali, ragionando sul mostrare, sullo statuto delle collezioni e sul ruolo che lo spazio assume per costruire senso intorno alle opere; dall’altro un’attività di ricerca all’interno dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna intorno alle modalità di accedere alle conoscenze in forma non visiva che lo ha portato tre anni fa, affiancato da Lucilla Boschi, ad aprire una prima stanza museale: il Museo Tolomeo. Col tempo il museo si è allargato sviluppandosi come ambiente di apprendimento e si è raddoppiato all’interno dell’atelier Tolomeo, dove si progettano laboratori, si sperimentano museologie dove scambiare sensibilità con il pubblico intorno a parole ambigue come accessibilità e inclusione, in una chiave che dal visivo scambia continuamente con il non-visivo.
La questione centrale è mostrare come tutto ciò che sta intorno alle opere, ai contenuti museali è la chiave per comprendere i contenuti medesimi. a prescindere dalla componente visiva. Per questo motivo il museo è nato come una wunderkammer, come uno spazio che accumula oggetti mettendoli strettamente in relazione tra loro e con lo spazio, a voler sottolineare la capacità di questo spazio di costruire il senso intorno alle opere.

Sensibilizzare
Il museo nasce con l’idea di valorizzare la storia dell’istituto Cavazza, che si caratterizza per successive messe in pratica di ricerche che hanno lo scopo di costruire opportunità di autonomia. Il museo si presenta alla città come una soglia che per ora possiamo chiamare espositiva, per mostrare a chiunque, vedenti e no, un discorso apparentemente storico ma che in realtà è un cammino senza tempo: uno spazio di contatto dove si sviluppa una attitudine pedagogica per comprendere in un altro modo come sia possibile organizzare una conoscenza del mondo.
Questa avviene attraverso l’acquisizione di una più consapevole coscienza geografica, attraverso la relazione tra noi e lo spazio, tra noi e codici linguistici; più in generale mostrando si misura cosa significa possedere tecnologie di varia natura che estendono i nostri sensi permettendoci di fare esperienza del mondo sul piano sensoriale, motorio, cognitivo e in ultimo affettivo.

Dove l’opera ha luogo
Entrando nella Wunderkammer (la sala del museo), dopo un breve tempo poniamo sempre la stessa domanda: “cosa vedi?” Vale per tutti: siamo in grado di riconoscere solo ciò che già conosciamo. Qualsiasi visione, pure quella retinica, come primo atto non fa che attivare conoscenze acquisite. In un secondo tempo porta ad approfondire per comprendere il senso più pieno. Il museo in questo senso diventa complice del processo vedere, guardare e comprendere.

Già a partire da questa prima attività parliamo del museo come ambiente dove sperimentarsi, come luogo dove acquisire conoscenza, fare esperienza attraverso l’esplorazione spaziale intorno alle opere.
Le persone entrando nella sala del museo vedono qualcosa che non conoscono ancora, che riconoscono solo in parte; i primi dati raccolti dal primo semplice sguardo – che sia di natura tattile o visiva – gli permettono di attingere dalla memoria dei concetti per definirlo ma è solo muovendosi all’interno e ricercando le sue parti nel tempo che potrà arrivare a comprendere il senso pieno dell’installazione museale.

Un luogo geografico per tutti, un’esperienza unica
Se ogni oggetto è segno del proprio uso, l’elemento centrale dell’allestimento è segno di come ci si può muovere all’interno dello spazio. Parliamo di un tavolo che ha una forma geografica: a prima vista ricorda un’isola, un arcipelago che per essere conosciuta dobbiamo percorrere lungo i bordi passo passo, scoperta in ogni sua parte, in ogni sua variazione.
Seguendone il perimetro osserviamo che il tavolo rende episodica la lettura delle opere, esaltando il valore di scoperta e da semplici osservatori diventiamo i naviganti, assumiamo un ruolo in relazione allo spazio e alle opere.
Il museo, attraverso il tavolo, instaura una narrazione che ci comprende.
L'”isola” si presenta con un’opera che colleziona gli oggetti dell’esposizione: una serie di strumenti raccolti che hanno permesso, da oltre un secolo fino ai giorni nostri, la trasmissione e la conservazione della conoscenza. Libri, scritture, macchine, display braille, macchine dattilo braille. Insieme a questi sul tavolo ci sono oggetti da decifrare, oggetti da studiare con tutti i sensi per comprenderne un possibile significato. Nell’insieme, gli oggetti, le opere, si fondono con il loro supporto; i pubblici si fondono tra loro all’interno di un’unica esperienza che è il museo.
Il tavolo “isola” organizza l’esperienza usando categorie della topologia: porta avanti e porta indietro, come un’isola è fatto di insenature, promontori… una geografia che accompagna la visita all’interno di una mappatura mentale che si fa geografica.
Questa è la prima struttura che sottolinea l’importanza del procedere, del movimento, del cammino. Lo stesso cammino che passo passo è stato fatto negli ultimi 150 anni per abbattere i confini tra visivo e non visivo e per poter dichiarare che il museo è il luogo dove l’opera ha luogo, dove trova un senso per tutti attraverso una scrittura che si fa spazio.