Poesia tattile con Emilio Isgrò e Lamberto Pignotti. Di Andrea Sòcrati

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Andrea Sòcrati – Progetti speciali Museo Omero.

In occasione della Giornata nazionale del Braille ed in coincidenza con la Giornata mondiale della difesa dell’identità linguistica promossa dall’Unesco (21 febbraio), il Centro del Museo Tattile Statale Omero per le arti contemporanee, la multisensorialità e l’interculturalità (TACTUS) ha presentato una particolare esposizione dedicata alla “poesia tattile”.
L’operazione artistica è nata dall’attività di ricerca di chi scrive sul tema arte e multisensorialità, con l’intenzione di proseguire e ampliare, coinvolgendo e rendendo protagonista il senso del tatto, la sperimentazione delle Neoavanguardie degli anni Sessanta del secolo scorso, su quella che è stata definita “poesia visiva”, “poesia totale”, “poesia sperimentale”.
Due i testimonial d’eccezione che hanno voluto condividere e sostenere la nascita della “poesia tattile”: Emilio Isgrò e Lamberto Pignotti.
Entrambi protagonisti di rilievo del panorama artistico contemporaneo ed entrambi determinanti, ognuno a proprio modo, nel contribuire all’innovazione e se vogliamo alla rinascita del linguaggio letterario e poetico nel secondo dopo guerra. Un periodo caratterizzato dalle nuove dinamiche prodotte dall’esplosione della società di massa e dalle nuove tecnologie, che inevitabilmente portavano a nuove relazioni e a nuovi orizzonti estetici. Orizzonti che prefigurano la contaminazione tra le arti, mescolando poesia, pittura, collage, musica, tecnologia, design, fotografia, performance e allo stesso tempo si appellano a caratteri multisensoriali e sinestetici. Ed è questo il contesto da cui ha preso avvio la mia azione di ricerca sfociata nella proposta di una “poesia tattile”.
Isgrò nel 1964 realizza le prime cancellature su enciclopedie e libri, da intendersi proprio come un segno realizzato per rinascere, ovvero cancellare qualcosa in vista di un futuro da ricostruire. Lo stesso Isgrò ci dice che “le parole e cancellatura sono la stessa cosa, noi vediamo perché a volte non vediamo, che un eccesso di parole ci rende insensibili al loro significato, un eccesso di immagini ci rende ciechi”.
Pignotti, già dal 1944, avvia sperimentazioni di arte verbovisiva dopo aver assimilato la lezione delle Avanguardie. Nei primi anni Sessanta concepisce e teorizza le prime forme di “poesia tecnologica” e “poesia visiva” e dà vita, con altri artisti e critici, al “Gruppo 70”. In ottemperanza alla volontà di procedere verso una contaminazione delle arti, Pignotti combina e amalgama linguaggi e codici diversi, dove i cinque sensi sono sempre protagonisti. Nascono così i libri oggetto di plastica, le poesie da toccare, da bere, da mangiare, i “chewing poems” e, naturalmente, le “poesie visive” sotto forma di collage o di intervento su foto di cronaca, di moda, di pubblicità, ecc. Le lettere degli alfabeti e le parole sono sempre state oggetto di elaborazioni estetiche in ambiti artistici diversi. Ne troviamo esempi nel periodo classico con i “carmina figurata” latini, quindi nei poemi tipografici di Stéphane Mallarmé, nei Calligrammes di Guillaume Apollinaire, nelle “tavole parolibere” di Filippo Tommaso Marinetti.
Il leader del Futurismo, nel suo Manifesto del 1921 “Il Tattilismo”, dedica l’undicesimo paragrafo alle “tavole tattili per improvvisazioni parolibere” dove il “tattilista”, passando le sue mani sulle tavole tattili “esprimerà ad alta voce le diverse sensazioni tattili” e “la sua improvvisazione sarà parolibera, ossia liberata da ogni ritmo, parodia e sintassi”.
Ora, oggetto della mia operazione estetica sono esattamente i valori tattili, esprimibili in modalità diverse, ed insieme ad essi il codice Braille, le cui lettere e numeri sono formati dalla combinazione di sei puntini in rilievo e pertanto dotati di un proprio valore plastico, tridimensionale. Valore che non solo non appartiene al segno dei comuni alfabeti, ma implica una decodifica che non passa attraverso gli occhi ma attraverso le mani. Come per le lettere e le parole dei comuni alfabeti, anche il punto Braille e le sue combinazioni strutturali possono dar vita a segni e forme esteticamente apprezzabili sia dall’occhio che dalla mano, ma soprattutto agiscono, mediante il tocco, sulla nostra pelle. Se il punto bidimensionale, realizzato con una matita o la punta sottile di un pennello costituisce la base della grammatica del linguaggio visivo, del vedere, il punto a rilievo costituisce la base della grammatica del linguaggio tattile, corporeo, del sentire. In tal senso, non possiamo omettere un accenno alle recenti ricerche neuroscientifiche le quali evidenziano una stretta connessione tra produzione e percezione del linguaggio e sistema motorio. Si parla allora di “linguaggio incarnato” (embodiment), con interessanti prospettive anche su rinnovate modalità di educazione linguistica dove gesto, azione e apprendimento vanno di pari passo e di cui Maria Montessori è stata precorritrice.
Infine, se la poesia visiva si arricchiva di un nuovo elemento compositivo, ovvero lo spazio, la sua strutturazione figurale della pagina, la “poesia tattile” apporta un ulteriore e fondamentale componente: il supporto, la pagina stessa. Il supporto che ospita la poesia tattile sarà di materiali diversi, i quali entreranno inevitabilmente in gioco nella fruizione tattile dell’opera e quindi saranno essi stessi evocatori di sensazioni e suggestioni.
La poesia tattile oggetto dell’esposizione, dal titolo “l’albero”, si compone di quattordici “tavole-versi”, ognuna di un materiale diverso, che ospitano l’immagine di un albero realizzata con puntini a rilievo, unità base del codice Braille. Quattordici tavole-verso come un sonetto tipico, con rime tattili alternate secondo lo schema ABAB per le due quartine e CDC per le due terzine. Le rime sono definite dalle caratteristiche e dalle assonanze tattili dei diversi materiali su cui le tavole sono stampate. Saranno le mani a scoprire la forma dell’albero e a cogliere le variegate sensazioni tattili che i diversi materiali propongono (ma anche sonore, costituite dal fruscio prodotto dalle mani che toccano), evocando in ciascun fruitore pensieri, memorie, emozioni, coinvolgendolo in una inusuale e intima esperienza estetica. Esperienza che trae origine dalle modalità percettive e cognitive della realtà delle persone non vedenti che uniscono tatto e cinestesia, dando vita a quella percezione dinamica che Rudolf Arnheim considerava la base dell’esperienze estetica.
La prima “poesia tattile” esposta nella sala della Collezione Design del Museo Omero vede la presenza tangibile dei due maestri testimonial, attraverso due opere appositamente realizzate.
Per l’occasione, il Maestro Isgrò ha creato la sua prima “cancellatura tattile”, una sorta di calligramma dove le parole danno forma ad un’immagine che, proprio grazie alle cancellature in rilievo, può essere percepita anche attraverso il tatto. A sottolineare il protagonismo dei valori tattili nella sua opera, Isgrò vi inserisce una scritta in Braille, operazione non solo di tipo estetico-tipografico ma anche di contenuto, capace di rivelare e suggerire alle mani lettrici spunti di senso e di significato.
Lamberto Pignotti, a sua volta, con la sua opera evoca il principale organo del tatto, la mano, utilizzando un comune guanto di plastica, di quelli che si trovano nei reparti di frutta e verdura dei supermercati.
L’artista marca il perimetro del guanto con una linea tracciata con un pennarello rosso e vi appone la scritta “touch poem” con un pennarello nero. Le lettere che compongono la parola touch sono distribuite ognuna in corrispondenza di uno dei cinque polpastrelli delle dita. L’utilizzo del guanto del supermercato suscita indubbiamente riflessioni su aspetti antropologici inerenti il consumo di massa, la standardizzazione dei comportamenti, il disincanto dettato dalla routine, l’heideggeriana anonimia che lascia poco o nessuno spazio al pensiero creativo e all’arte. Ma, soprattutto per quel che ci riguarda, come dice lo stesso Pignotti, “il guanto cancella e impedisce di toccare ciò che la mano afferra”, sottolineando come la nostra educazione ci porti già da bambini a mantenere le distanze dal mondo. Infine, la “cancellatura” dell’uniformazione del guanto attraverso l’intervento artistico, richiama inevitabilmente l’attenzione su di esso. È un atto distintivo che diviene metafora dell’oblio del senso del tatto, del gesto, del tocco e allo stesso tempo ci ricorda la nostra identità carnale, il sentire profondo attraverso le viscere, i muscoli, i tendini, in un’epoca che tende a smaterializzare le esperienze proiettandoci dentro una realtà sempre più virtuale.
La “poesia tattile” è nata. Aspettiamo futuri sviluppi.