Opera: Testa del Galata morente

Copia di scultura

Testa del Galata morente (scultura in gesso)

Copia

Dimensioni
37 cm in altezza, 36 cm in larghezza, 26 cm in profondità; dettaglio
Tecnica
calco al vero
Materiale
gesso alabastrino
Spazio
Mimica del volto umano

Originale

Data
I sec. a.C.
Periodo
Greco
Dimensioni
73 cm in altezza, 185 cm in larghezza
Materiale
marmo
Luogo
Roma, Musei Capitolini Si apre in una nuova finestra

Foto: Maurizio Bolognini. Proprietà: Archivio Museo Tattile Statale Omero.

Descrizione

“Dicono che è così che muoiono gli eroi. La chiamano la bella morte. Non so se sto morendo da eroe. Quel che so è che sto morendo libero”.

I Musei Capitolini, dove è custodito l’originale Galata Morente, attribuiscono queste ultime parole al personaggio rappresentato. Al Museo Omero è conservato il particolare della testa nella sezione della Mimica del volto umano.
L’opera originale raffigura un guerriero in punto di morte ed è una copia in marmo, realizzata in età romana, di una delle sculture in bronzo che componevano il grande complesso scultoreo dedicato ad Atena Polias, posto sull’acropoli di Pergamo a ricordare la vittoria di Re Attalo I (dal 241 al 197 avanti Cristo) sui Galati.

La scultura originale completa ritrae il guerriero mentre il corpo si accascia sullo scudo. In perfetta linea con la ricerca artistica del periodo ellenistico, il volto del Galata è modellato con estrema attenzione ai dettagli naturalistici: gli zigomi sono pronunciati, le labbra carnose, aperte tanto da far intravedere la dentatura; i baffi sono folti, mentre la capigliatura è ispida e divisa in ciocche, a causa del grasso animale che erano soliti usare. Sul collo si nota il torquis, il tipico collare celtico che indicava l’alto rango sociale di chi lo indossava e che si ipotizza avesse anche un significato religioso e magico. Il termine torquis o torque è dovuto alla sua forma a tortiglione. Le rughe sulla fronte e un leggero rigonfiamento all’altezza delle tempie mostrano la resistenza al dolore del guerriero, un atteggiamento fiero che non accenna minimamente alla resa. Elemento tipico del periodo ellenistico è anche infatti l’introduzione della rappresentazione del pathos nelle arti visive.

Il valore e le virtù di quei guerrieri sono state comprese e riconosciute anche dai vincitori: l’autore dell’opera ha fissato sul bronzo il coraggio e la determinazione del nemico, cogliendo lo spirito di colui che muore con onore.
La copia in marmo fu commissionata da Giulio Cesare per i suoi Horti: egli scelse probabilmente questo soggetto in base a motivazioni propagandistiche, in un parallelismo con le sue campagne militari, vedendo in questa scultura una sorta di simbolo del valore di chi era riuscito a sconfiggere nemici di tale coraggio.