di Maria Manganaro.
Durante un recente appuntamento di formazione sui temi dell’accessibilità, affollato di operatori a vario titolo provenienti da ogni parte d’Italia (come sempre), pensavo che tra le tante strade aperte e suggerite dal presidente Grassini mancasse quella del podcast. Lo pensavo ascoltando (da non operatrice) proprio Aldo Grassini, generoso e magnetico relatore di quel misterioso (per molti) argomento che il tatto rappresenta nella nostra cultura e soprattutto nella nostra quotidianità. L’ultimo dei cinque sensi, in termini di importanza. Il primo in termini di divieto (non toccare). Raro e quindi prezioso in quanto ad uso (simbolicamente, “ci vuole tatto”).
Eppure, quando Grassini racconta dell’esplorazione (in senso lato) della realtà attraverso il tatto, si aprono mondi fantastici a portata di mano, trascurati per ragioni che non saprei analizzare (non è il mio mestiere). Rifletto. Il tatto è sottoutilizzato dai normodotati, la vista addomesticata. Non sono certo la prima a dire che guardiamo senza vedere, per la gran parte del nostro tempo. E sarebbe impossibile il contrario. Il nostro cervello soffrirebbe di un eccesso di immagini da catalogare, come quel giovane “memorioso” del racconto di Borges che per un drammatico incidente non riesce a dimenticare assolutamente nulla di ciò che gli accade.
E comunque, la strada delle immagini ferme e in movimento è, in ogni campo, assai battuta. Quella del tatto, trascurata nella gran parte dei casi. Per fortuna Aldo Grassini, con la sua compagna Daniela Bottegoni, ha aperto il suo museo a tutti quanti, mostrando un lato dell’inclusività tanto necessario quanto affascinante. Grazie a un’intuizione divenuta ostinata convinzione, da tre decenni possiamo far scorrere le nostre mani sulle curve del naso e sui ricci della chioma del David di Michelangelo, sul corpo della Venere di Milo, sulle forme di Arnaldo Pomodoro, tra le pieghe dell’eleganza grottesca di Valeriano Trubbiani.
Ma come ha selezionato e poi scelto ciascuna delle opere da riprodurre? E quelle originali da dove arrivano? Quale desiderio acuto ha spinto Grassini verso la libertà di poter disporre (insieme a chiunque altro) proprio di quelle? Quali avrebbe voluto? E, soprattutto, perché?
Durante il corso di formazione, il presidente, pragmatico e idealista in egual misura, tiene tutto insieme. Fornisce risposte e suggerimenti, insinua dubbi e aggredisce tabù, polarizzando l’attenzione del gran numero di persone in sala. Ebbene no, non è né un attore né un retore. È “solo” una di quelle menti libere (colte e pertinenti) che ha trovato ascolto nella cosa pubblica perorando la causa dell’inclusività, a partire dalla necessità di usare il tatto da parte di chi non ha la vista e non solo. Non è un caso se al corso di formazione partecipava, per il Ministero della Cultura, Fabio De Chirico, componente della Direzione Generale Creatività Contemporanea, con una relazione da remoto che Grassini ha definito rivoluzionaria in quanto ad apertura alle concrete ipotesi inclusive di approccio all’opera d’arte, alla quale è riconosciuto uno specifico ruolo sociale.
Di fatto, Fabio De Chirico, identificando l’Omero come struttura d’eccellenza, parla di città come Torino pienamente avviate all’inclusività e all’accessibilità, là dove al centro si trovano le persone e non le opere. Parla del superamento di barriere economiche e linguistiche per fornire risposte concrete a una società multietnica, in un contesto in divenire in cui il museo può riappropriarsi della propria funzione: “una sfida che la Direzione Generale Creatività Contemporanea è chiamata a cogliere, nel suo ruolo di indirizzo, con un approccio multisensoriale che contempli interazioni visive, olfattive, musicali, performative. L’accessibilità – concludeva Fabio De Chirico, – è una visione, è questione connessa alla cittadinanza e, in quanto tale, deve aprirsi a nuovi orizzonti e ad aspetti formativi”.
È proprio qui che penso quanto l’esperienza sia veicolo di formazione, quanto la soggettiva versione dei fatti di un esperto riconosciuto arricchisca la conoscenza intellettiva ed emozionale della realtà, quanto soddisfi curiosità inespresse innescando meccanismi di fiducia e di attesa. Sarebbe bello – mi trovo a desiderare, – se la voce di Aldo Grassini accompagnasse in cuffia quei visitatori dell’Omero che volessero ascoltare la traduzione in parole dell’esperienza tattile di un’opera, il viaggio di un’opera fino all’Omero oppure il brano che il presidente appassionato di musica associa a una scultura.