di Nicoletta Marconi.
Se non hai mai conosciuto una persona sordocieca o una persona con pluridisabilità, magari ti poni alcune domande alle quali non sai dare risposta; le persone sordocieche sono completamente sorde e cieche? Come fanno a prendersi cura di sé stessi? Come trascorrono il tempo libero? Come giocano? Come comunicano?
Quando si parla di persone sordocieche dobbiamo aver presente una grande eterogeneità di caratteristiche; le persone sordocieche, di fatto, possono essere completamente sorde e cieche, oppure possedere un residuo di uno dei due sensi, possono aver perso la vista e l’udito dopo l’acquisizione del linguaggio, possono essere state protesizzate in tenera età e quindi aver recuperato parzialmente l’udito, possono riuscire a vedere sagome, luci ed ombre o avere un residuo tale da discriminare colori ed immagini. Di certo, la sordocecità deve essere considerata una disabilità unica, diversa dalla semplice sommatoria della disabilità visiva ed uditiva, perché diverso è l’impatto che la doppia disabilità produce sullo sviluppo della personalità e delle relazioni sociali.
E allora, se la vista e l’udito non ci sono, o sono solo parzialmente presenti, e se anche le capacità cognitive o motorie non sono ottimali, quali strumenti ha in mano un bambino per trovare un suo spazio nel mondo?
Per prima cosa dovrà imparare a sfruttare al massimo i canali sensoriali residui che sono integri, primo fra tutti il tatto, ma anche l’olfatto ed il gusto. Tutto, intorno a sé, ha un odore, una consistenza, una texture, e quindi la realtà si popola via via di oggetti, persone, materiali che si differenziano e diventano riconoscibili per gli aspetti sensoriali che la caratterizzano.
Un ruolo fondamentale è assolto dall‘educatore, il cui compito principale deve essere quello di costituire un porto sicuro, un luogo caldo all’interno della relazione educativa, un punto di partenza da cui allontanarsi e tornare per acquisire conoscenze, abilità, indipendenza, autodeterminazione. Tutta la relazione educativa ruota intorno alla parola “fiducia“. Il rapporto educativo è sempre una relazione di fiducia; il bambino deve imparare a fidarsi di una persona che nella maggior parte dei casi non è un familiare, del quale riconosce solo il modo di approcciarsi o il suo odore e l’educatore deve nutrire una fiducia infinita nelle possibilità del bambino.
Di fatto, le persone con sordocecità e, soprattutto, con pluridisabilità psicosensoriale affrontano ogni giorno una realtà fatta di sfide, solo apparentemente insormontabili, come quella di svolgere azioni in autonomia, percepire correttamente l’ambiente circostante e fruire dello stesso in modo funzionale, apprendere nuove abilità e, soprattutto, comunicare.
Imparare ad esprimere le proprie esigenze, le proprie volontà e, primo fra tutti, il proprio dissenso, diventa allora la più grande delle sfide, l’obiettivo primario della crescita.
I bambini con pluridisabilità devono infatti investire tante loro energie e tutto il loro impegno per imparare ad usare quello strumento magico e straordinario che è la comunicazione; qualunque sistema, metodo, lingua può diventare funzionale se consente loro di relazionarsi, di capire ed essere capiti.
Ogni sistema ha un valore, purché diventi “significante”; un gesto spontaneo, un oggetto reale, un modello in miniatura o, laddove sia presente un residuo visivo, un’immagine. Qualunque oggetto, simbolo o comportamento al quale venga associato un significato, diventa significante di una realtà: di un’attività, un ambiente, una persona, un alimento, un luogo, un’emozione.
La comunicazione assume allora il potere magico di far uscire il bambino sordocieco o con pluridisabilità dall’isolamento e dal silenzio, proiettandolo in una realtà condivisa, in cui egli stesso diventa protagonista dell’espressione delle proprie scelte, decisioni, desideri.
Avere la possibilità di comunicare rappresenta per la persona sordocieca, come per ogni altro, la condizione imprescindibile per non sentirsi solo, isolato, concentrato unicamente su sé stesso, immerso in una realtà fatta esclusivamente di silenzi, delegando ad altri il potere di parlare a tuo nome.
Nel momento in cui le persone con sordocecità e con pluridisabilità acquisiscono competenze comunicative diventano artefici della loro vita, iniziano piano piano ad esprimere le proprie esigenze e, soprattutto, la propria volontà. Il gesto spontaneo, laddove ci sono i prerequisiti necessari, può essere integrato e sostituito da un segno proprio della Lingua dei Segni. Le persone sordocieche, che per ovvi motivi, non possono percepire visivamente il segno, imparano ad usare la Lingua dei Segni tattile, nel quale il segno, che le persone sorde colgono visivamente, viene sostituito da un segno percepito dalle mani dell’interlocutore sordocieco; lo stesso segno che viene visto e guardato dalle persone sorde, viene allora toccato, esplorato dalle mani delle persone con sordocecità; l’interprete segna nelle mani della persona sordocieca, posizionate in modo da riceverlo.
Le persone sordocieche, che hanno avuto modo di imparare a leggere e scrivere, possono anche diventare abili nel comunicare attraverso il sistema Malossi, in cui la mano sinistra di chi ascolta diventa una tastiera, nella quale ad ogni punto delle dita corrisponde una lettera dell’alfabeto e sulla quale si possono digitare interi dialoghi.
E così, giorno dopo giorno, i bambini sordociechi diventano donne e uomini in grado di esprimere le proprie esigenze, le proprie emozioni e desideri; e allora, con il supporto dei familiari, degli educatori, il sostegno della tecnologia, le sfide della vita diventano solo apparentemente insormontabili, perché a nessun bambino è preclusa la possibilità di apprendere, qualunque siano le condizioni di partenza; la disabilità, anche laddove sia caratterizzata da necessità di sostegno intensivo, non può rappresentare un vincolo, un punto d’arrivo, l’assenza di prospettive educative, ma piuttosto deve essere intesa come la premessa, il punto di partenza da cui avviare un lungo percorso di crescita continua.